LIBRO TERZO
SEZIONE PRIMA
Capitolo Primo
[1328] [786] .... esso e coloro, appo i quali ragiona, prorompono in [CMA3] dirottissimo pianto. Ond’è vero il precetto di rettorica che dá Dionigi Longino, il quale dalle materie dello stil sublime esclude il lamento, ch’è consegnato all’elegia, i cui versi Orazio chiama «exiguos», perché sono versi rotti (particolarmente nel pentametro, il qual deve avere due posamenti necessari), e deve dentro il picciol corso d’un distico terminare; e perciò anche buona per l’allegrezza, perché cosí questa come il lamento ella è passione di cuor picciolo. Ma è falsa la ragione che, perché sia passione di cuor basso, ella perciò non sia eroica; perché gli eroi d’Omero, se non si lamentano, dánno in maggior bassezza, ché piangono, e piangono dirottamente, come fanno le vilissime donnicciuole. Di che è la ragion morale: perché il lamento è una passione ragionata; ma le passioni eroiche, come di fanciulli, erano tutte senso e nulla o assai poco avevano mescolato della ragione. Talché essa ira, che Platone pone nella parte ragionevole dell’uomo, ella da Omero è raccontata irragionevolissima nella persona d’Achille, ch’è ’l piú grande de’ greci eroi, tanto ch’è ’l subbietto di quel poema. Altri, tornando al proposito, da sommo dolor afflitti ....
Capitolo Secondo
[1329] [789] .... Eubea non era tanto lontana da Troia, ch’era posta sul lido orientale del Bosforo tracio, onde la chiamarono «terra de’ ciechi», perché fu fondata in luogo men felice, quando nel lido opposto vicino era amenissimo, ov’ora è posta Costantinopoli. Di piú, perché, a’ tempi di Omero, ivi i greci si chiamarono «achivi», che diedero il nome all’Acaia, il qual nome, poi sparso per tutta, vi fece appresso convenire a quella guerra in lega tutta la Grecia, come sopra si è ragionato.
[1330] [791*] Il simile appunto egli è avvenuto di Dante, che, con errore nel quale noi pur eravamo caduti, si è creduto finora d’aver esso raccolto da tutti i popoli dell’Italia i favellari per la sua Commedia; ma a Dante non arebbono bastato ben tante vite, per aver pronta ad ogni uopo la copia de’ favellari co’ quali compose la sua Commedia. Il vero egli è ch’a capo di trecento anni, essendosi dati i fiorentini a ragionare della lor lingua, ed osservando in Dante tanti favellari, de’ quali, come non ritruovavano autori in Firenze, cosí gli osservavano sparsi per altri popoli dell’Italia (conforme nella nostra plebe napoletana, piú nel nostro contado, ed assaissimo per le nostre provincie, ne vivon moltissimi), caddero in sí fatto errore, non avvisando che, quando Dante gli usò, dovevan esser anco celebrati in Firenze, perché pur dovette Dante usare una lingua intesa da tutto il comune d’Italia.
Capitolo Terzo
[1331] [801] .... che sono la delizia delle cene, ed onde furono cotanto lodate, quanto Ateneo ne parla, quelle degli antichi.
Capitolo Quinto
[1332] [816] .... un bel luogo d’Aristotile ne’ Morali, ove riflette che gli uomini di corte idee d’ogni particolare fan massime: ch’è un grave giudizio della picciola comprensione di quell’ingegni che d’ogni particolar cosa fanno sistemi. Al qual detto d’Aristotile soggiogniamo noi la ragione: perché l’ampiezza della mente umana, la qual è indiffinita ....
[1333] [817] .... né appo i greci né appo i latini giammai si finse di getto un personaggio [CMA4] tragico, come ultimamente cominciò a fare Torquato Tasso con la tragedia del Turismondo. E ’l gusto del volgo gravemente lo ci conferma ....
[1334] [835] Adunque tutte l’anzidette cose furono propietá .... comuni a’ particolari uomini di tali popoli. Però la sapienza riposta è propia di particolari uomini, né può esser comune a popoli intieri.
Capitolo Sesto
[1335] [853] Ch’i Pisistratidi, tiranni d’Atene, con arte propia di stabilirvisi, ch’è d’ammansire le nazioni feroci con gli studi dell’umanitá, come l’avverte Tacito nella Vita d’Agricola, che gl’introduce nell’Inghilterra, con quel motto: «et humanitas vocabatur, quae pars servitutis erat», eglino disposero e divisero o fecero disponere e dividere i poemi d’Omero ....
[1336] [856] .... «vilem patulumque orbem», che tutti i commentatori han disperato d’intendere, come dopo tutti ingenuamente il confessa la valorosa donna Dacier, la quale non rimane punto soddisfatta ....
[1337] [857] .... il qual si deve allogar a’ tempi d’Erodoto. E pur crediamo di farli piacere, perché piú importa ad una nazione scriversi le sue storie che libri di medicina; siccome i romani assai tardi ricevettero i medici, e luminose nazioni tuttavia, come la turca, vivono senza professori di cotal arte.
[1338] [862] Quasi tutti i popoli della Grecia il vollero lor cittadino; anzi non mancarono di coloro che ’l volessero greco d’Italia.
SEZIONE SECONDA
Capitolo Secondo
[1339] [904*] Or, se in tutto questo libro, trallo spiegandosi e le ragioni che ci diede la filosofia in forza della nostra nuova arte critica, e le autoritá che la filologia ci somministrò, il leggitore prescindesse col pensiero che cosí le ragioni come l’autoritá s’indirizzano alla discoverta del vero Omero; certamente esso non sentirebbe affatto motivo alcuno di non dovervi ben convenire. Lo che se egli, riflettendovi, avvertirá, ne risultano queste tre gravissime conseguenze. La prima, che le ragioni ed autoritá sono state da esso ricevute con mente pura e scevera d’ogni passion d’amor propio. La seconda, che ’l risentirsi della discoverta del vero Omero egli è un richiamo che gliene faccia fare la memoria, la qual altro sel ricordava, e la fantasia, la qual altro avevalosi immaginato. La terza, che né le ragioni de’ filosofi, che ne hanno tante cose altrimenti discorso, né le autoritá de’ filologi, che ne hanno tante cose volgarmente rapportate, gli abbiano punto valuto per l’Omero qual esso si ricordava ed avevasi immaginato; e, ’n conseguenza, gli è di bisogno di questa Scienza per la discoverta del vero Omero. Per la quale l’aspre tempeste delle tante difficultá fatte in ragion poetica contro lui sonosi tranquillate; le gravi accuse fattegli da’ critici si sono dileguate; le rare, somme ed immortali lodi, che sembravano innanzi punto non appartenergli, si sono vendicate; e perfino e le cagioni del vero delle tante e sí costanti tradizioni che sonci di lui pervenute e le occasioni onde ci vennero sí bruttamente ricoverte di falso, si sono tra loro amichevolmente conciliate e composte.
APPENDICE
[1340] [914*] [CMA3] Ed ecco la storia de’ poeti fatta ragionevole in tutte e tre le spezie maggiori che l’assorbiscono:
1. de’ poeti eroici, divisi in due spezie, la prima di teologi, la seconda d’epici, che propiamente si chiamano «eroici»;
2. de’ poeti dramatici, pur in due spezie divisi, tragici e comici, ed entrambi altri antichi, altri nuovi;
3. e finalmente de’ poeti lirici, di tre spezie: antichi, che furon i lirici sagri; mezzani, che furon gli eroici; ed ultimi, che son i melici.
[1341] La qual istoria non si poteva altrimenti accertare che con la nostra arte critica sopra essi autori delle nazioni, quali per tutta quest’opera, e principalmente per tutto il libro secondo, abbiamo dimostrato essere stati poeti.